Messina, estorsioni imposte dal clan di Camaro: le pene diventano definitive
Si chiude definitivamente dopo il secondo passaggio in Cassazione il processo per le estorsioni a commercianti e imprenditori imposte dal clan di Camaro San Paolo e portate alla luce dall’operazione “Richiesta” della Squadra Mobile nell’ormai lontano 2013. Un’inchiesta coordinata all’epoca dai sostituti Camillo Falvo e Diego Capece Minutolo.
Ieri la 2° sezione della Cassazione ha infatti rigettato tutti e sette i ricorsi difensivi di altrettanti imputati. Nel giugno del 2018 sempre la stessa sezione della Cassazione aveva invece accolto i ricorsi dei difensori e aveva disposto l’invio degli atti alla Corte d’appello di Reggio Calabria in relazione alla pena relativa alla contestazione del reato associativo mafioso. E nel novembre del 2021 la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva confermato l’esistenza dell’associazione mafiosa, sostanzialmente confermando le pene decise dalla Corte d’appello di Messina nel 2017. Nel marzo del 2017 la Corte d’appello di Messina condannò Antonino Genovese a 8 anni e 8 mesi; Francesco Di Biase a 8 anni e 6 mesi; Gianfranco La Rosa a 8 anni e 2 mesi; Sebastiano Freni a 6 anni e 10 mesi, Salvatore Triolo a 7 anni e 8 mesi; Raffaele Genovese a 6 anni e 4 mesi; Giovanni Lanza a 6 anni e 8 mesi.
L’associazione faceva leva sulla caratura criminale di alcuni componenti, sfoggiando capacità di aggressione attraverso gesti eclatanti, come l’incendio di un escavatore all’interno di un cantiere. Ed era forte il muro d’omertà, con una sola denuncia da parte di una vittima. Si rivelarono preziose le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e l’arresto di Vittorio Di Pietro, avvenuto il 15 febbraio del 2012, con l’accusa di aver imposto il pizzo a due commercianti del villaggio di Camaro. Nella vicenda processuale sono stati impegnati gli avvocati Salvatore Silvestro, Pietro Luccisano, Pietro Venuti, Giovanni Mannuccia, Tancredi Traclò, Carmelo Vinci, Giuseppe Carrabba e Giuseppe Donato.