Giustizia per Attilio Manca: se il tempo è galantuomo
La richiesta di riapertura indagini segna un punto fermo da cui (si deve) ripartire
di Lorenzo Baldo - Al telefono la voce di Angelina Manca è come un sospiro: “Finalmente...”. La notizia della richiesta di riapertura indagini sulla morte di suo figlio Attilio è di quelle che aspettava da anni. Troppi. Per l’emozione, suo marito Gino, malato da tempo, è crollato esausto e adesso dorme. Anche per Gianluca, il fratello di Attilio, l’emozione è tanta.
E’ un termine sintetico, quello usato da Angelina, che, come evidenziano i vari dizionari della lingua italiana “esprime soddisfazione per il sopraggiungere o l’avverarsi di cosa lungamente attesa”. Ma questo semplice avverbio non basta certo per raccontare tutto il dolore, la rabbia e la frustrazione che sono stati mandati giù a fatica da Angelina, Gino e da Gianluca, mentre le inchieste sul caso Manca venivano archiviate nel totale spregio della verità.
Oltre quelle indagini mancate c’è stato un processo-farsa ad un’unica imputata, Monica Mileti, da lei stessa definita un “capro espiatorio”, dietro il quale si muovevano – e si muovono - ben altri personaggi.
Oggi però si guarda avanti. Il deposito di questa istanza da parte dell’avvocato Fabio Repici è un punto fermo da cui è obbligatorio ripartire. E sono sempre le parole dei familiari di Attilio - che in questi lunghi anni non si sono mai arresi - quelle che restano, al di là dei silenzi e delle omissioni di chi invece aveva il dovere di indagare fino in fondo.
“Sin dal primo istante - mi aveva raccontato tempo fa Angelina - mi sono detta che non dovevo cedere, all’inizio era come se impazzissi, pensavo che dovevo fare qualcosa per mio figlio. Quando hanno cominciato a rovesciargli addosso tutte quelle infamie sul fatto che fosse un drogato, ancora di più sentii che dovevo reagire. Iniziai allora a parlare in pubblico, prima con pochissime persone, qui a Barcellona dicevano che ero diventata pazza. Dopo qualche anno vidi che Luca scriveva su facebook, a quel punto gli chiesi di creare anche a me un profilo. Da quel momento non mi sono più fermata e ho continuato a scrivere. In questo modo è come se scaricassi il dolore che ho dentro, parlo di Attilio, denuncio anche altre ingiustizie sociali, scrivendo ritrovo la solidarietà, ho conosciuto tanti giovani che mi inviano messaggi di sostegno. Tutto questo mi dà la forza per proseguire, Attilio continua a vivere, la sua morte è servita a qualcosa: a far comprendere ai giovani cosa devono fare, come devono lottare per avere un mondo migliore, un mondo più giusto. Questo è quello che mi spinge ad andare avanti”.
Angelina Manca è stata, ed è, una madre-coraggio che ha affrontato qualsiasi sfida a viso aperto, anche quelle più vigliacche di chi ha infierito sul giardino di casa per ferire il loro coraggio di pretendere la verità.
“Attilio lo sento sempre vicino a me – mi diceva Angelina guardando una sua fotografia -. Ci sono giorni in cui sono presa dai problemi della vita quotidiana e allora mi distacco, ma il pensiero è costante. Non c’è un attimo della giornata che non lo pensi, lui è continuamente con me. Ci sono momenti in cui impazzisco e mi manca da morire, poi, però, convivo con questo dolore. I periodi più duri e più brutti sono sotto Natale e durante il periodo estivo (a ferragosto ricordo che Attilio organizzava delle feste…). Quando penso ai suoi assassini non provo odio, se mai disprezzo e anche pena. Perché sono dei poveri falliti. Chi uccide o si unisce alla mafia è peggio di un animale. Penso a loro che vivono con le loro famiglie nei loro agi, nell’atmosfera natalizia, provo una rabbia incredibile, perché penso che mio figlio non c’è più. Questo mi fa stare ancora più male. E penso ad uno Stato assente, che permette a questi delinquenti di continuare a vivere come se niente fosse”. Ma quale Stato? Quello che financo ha avuto l’ardire di trattare con la mafia?
Dal canto suo Luca aveva evidenziato un concetto tanto semplice quanto oggettivo.“Quando determinati fatti vanno a toccare i colletti bianchi è difficilissimo poter raggiungere una verità e una giustizia. Probabilmente la vicenda di Attilio Manca si instaura nell’ampio quadro della trattativa Stato-mafia. Non è più un problema che riguarda una famiglia alla ricerca della verità e della giustizia, riguarda un problema ben più grave: un problema italiano di cercare di smascherare determinati personaggi che, sia nel passato, quanto ancora oggi, occupano importanti posti a livello nazionale. Posti talmente alti dal punto di vista istituzionale che apporterebbero un allontanamento da parte dell’opinione pubblica – votante – verso lo Stato. Quindi questa vergogna che io provo nei confronti dei pubblici ministeri che si sono occupati del caso di mio fratello, probabilmente milioni di persone la proverebbero nei riguardi di alti personaggi istituzionali”. Nulla da aggiungere.
Nell’altra stanza Gino continua a dormire, ma è come se le sue parole in ricordo di Attilio bambino tornassero a farsi sentire. “Sento ancora il calore di quella manina appoggiata sulla mia spalla dolorante, perché stanco per la lunga guida, e con grande senso protettivo mi diceva: ‘Papà, ora stai meglio?’. Protezione ed affettuosità che ha mantenuto e manifestato anche da grande… Per noi la sua mancanza è immensa. Si dice che i figli sono l’anima per i genitori. Quando, dunque, i figli vengono a mancare può il corpo continuare a vivere senza anima?...”.
E’ una risposta implicita, trattenuta, ma anche gridata al vento, quella che resta sospesa nella stanza di Attilio. Sulla parete il suo volto sorride felice in mezzo al blu di un mare che sembra dipinto: “Mamma, papà, venite, l’acqua è bellissima!”. Info: attiliomanca.it