Messina, “bando ad hoc per realizzare l’antincendio sulle autostrade”: arresti domiciliari per dipendente del Cas e altri tre. Le intercettazioni
Di Manuela Modica - “Io solo per aver fatto il mio dovere mi sono fatto pure 15 giorni di domiciliari”. A parlare è Gaspare Sceusa, ingegnere, dipendente del Consorzio autostrade siciliano, chiamato “Re magio” dagli imprenditori intercettati. “Nominano a Sceusa (nominato infatti Rup della gara di appalto) – Meno male! Baciamo a terra dov’è più sporco”. Da giovedì è tornato ai domiciliari, con l’accusa di turbativa d’asta, ma è solo l’ennesima accusa mossagli dalla procura di Messina, che ne fa praticamente un record man: da 19 di queste è stato assolto oppure archiviato mentre su di lui pendono ancora sei procedimenti. Finisce di nuovo ai domiciliari non esattamente per “avere il fatto il suo dovere”, perlomeno stando all’indagine della Direzione investigativa antimafia di Messina, dalla quale emerge che da dipendente di un ente pubblico aveva rapporti con privati per “studiare” un bando ad hoc, del valore di 9 milioni di euro, per l’assegnazione del servizio di sorveglianza antincendio lungo le tratte autostradali della A18 Messina-Catania ed A20 Messina-Palermo. Un bando ritenuto cucito su misura per due società con ruolo predominante in tutta Italia. E in un primo momento viene ritirato perché preso di mira da un’interrogazione dei consiglieri regionali del Pd. Contro di loro si scaglia Francesco Duca, anche lui ai domiciliari assieme a Giuseppe Trifilò, suo collaboratore, perché considerato “socio occulto” di una delle due società interessate all’appalto. È lui che vuole intervenire sul consigliere dem perché “se no si struppia” ( si fa male, ndr). Ed è lui che che racconta di essersi rivolto a un bosslatitante di San Mauro Castelverde, in provincia di Palermo, per fare dei lavori nel tratto di autostrada tra Cefalù e Castelbuono negli Anni novanta. È una storia densa di particolari quella che emerge dalle indagini della Dia di Messina sul consorzio che gestisce in Sicilia più di 400 chilometri di autostrada, comprese quelle che andrebbero a collegarsi con il Ponte sullo Stretto. Ma andiamo con ordine.
Quelle merde del Pd – Ma qualcuno in Sicilia si insospettisce e denuncia “l’anomalo comportamento di Gsa”. Tra chi vuol vederci chiaro sul bando c’è anche un consigliere regionale del Pd, Nello Di Pasquale, che presenta un’interrogazione e l’appalto, già bandito, viene ritirato: “Poi c’è stata l’interrogazione parlamentare di questi merda là del Pd pilotati da uno di Ragusa (Di Pasquale, ndr), dove dice che l’importo era elevato, che era troppo restrittiva per le cose, era qua, era là, gli è tramato il culo e l’hanno ritirata, però nel ritiro che scrivono, dice ‘la ritiriamo perché dice la Gsa ci ha detto che il bando era sbagliato'”. L’interrogazione del Pd non sortisce effetto da parte del governo regionale guidato all’epoca da Nello Musumeci: “Mai ricevuto risposta e per questo sono andato pure in procura sia a Messina che a Catania per denunciare tutto”, sottolinea ora Di Pasquale a Ilfattoquotidiano.it. Mentre quel temporaneo ritiro fa infuriare Duca che parlando col padre, spiega l’intenzione di fare pressioni sul consigliere regionale del Pd di Messina, Franco De Domenico, tramite Gaetano Duca, fratello del cognato di De Domenico: “Gli ho detto io, lo chiami e gli dici di non rompere i coglioni alla razza Duca, perché se no si struppìa (si fa male, ndr)”. Ma Duca, parlando col padre, prospetta in alternativa alle maniere forti anche la strategia della corruzione: “Gaetano, lo chiami e gli dici se cortesemente la finisce di rompere i coglioni! Che poi, se vinciamo noi altri, un pezzo di pane siamo in grado di darglielo pure noialtri, gli dici se questo è il problema…”. L’appalto viene poi riproposto e vinto dalle due società.
Il permesso del boss di Cosa nostra – Che Duca avesse rapporti con la mafia emerge invece da una conversazione del 28 agosto, quando racconta ad un collaboratore di avere cercato il benestare del boss latitante per fare i lavori sul tratto della Messina-Palermo compreso tra Cefalù e Castelbuono. È il 1993, Duca vuol fare quei lavori su suggerimento del boss di Villafranca. “Perciò parto, salgo a San Mauro, entro in questo bar, mi prendo il caffè… Ho visto che il padrone, gli ho chiesto del maresciallo dei carabinieri. Dice: ora lo facciamo venire qua, si sieda lì. Arriva questo maresciallo, dice e come mai sei qua? Gli ho detto, maresciallo, io così, così e così e mi hanno detto di venire qua per parlare con questo del bar e questo del bar doveva chiamare a lei. Mi ha guardato e si è “intrasattato” no! Va bene mi ha detto. Ho visto però che si era stracambiato in faccia… Ha chiamato la caserma e si è fatto portare la jeep. Era venuto a piedi, e si è fatto portare la jeep… e gli ha detto a quello di andarsene. Dice la macchina lasciala qua e vieni con me. Minchia, sulla macchina di qua ad arrivare su questo pizzo di montagna, dove siamo saliti con la campagnola”. Così, stando al racconta di Duca, intercettato dalla Dia di Messina, arriva a San Mauro dove incontra Peppino Farinella, detto Don Peppino, boss del paese del Palermitano, alleato dei corleonesi: “Viene là questo, un cristianeddu, chiuso là in una specie di casetta, là aveva provole, salami appesi, cose, mi ha riempito una busta per portargliela a quello, di provole, salami, soppressate, tutte cose… come devo fare, come non devo fare? Mi ha detto: Non devi fare niente, dice qua non si paga pizzo, qua non si paga niente, tu mi devi fare una grazia, quante persone ti servono? Gli ho detto circa 40. Dice: il più possibile li devi prendere da qui. Li prendi, se loro non sono buoni li mandi a casa, però tu mi devi fare il favore qua mi divi prendere il più possibile persone di qua. Dice, per un motivo, perché se a questi qua noi gli diamo da campare coglioni non me ne rompono e io qui sto tranquillo”. Rassegnaweb - Fonte: Il Fatto Quotidiano