Associazione Antimafie “Rita Atria” e “LeSiciliane”: Solidarietà alla giornalista del TG1 Giovanna Cucè
«Senza scappare, senza tradire, senza corruzioni, o sottomissioni a testa alta, orgogliosamente», scriveva Giuseppe Fava, prima di essere ucciso il 5 gennaio 1984: le sue inchieste con la rivista I Siciliani erano improntate ad «un concetto etico del giornalismo […] la forza essenziale di una società democratica e libera, quale dovrebbe essere quella italiana», denunciando la patologia e le collusioni politiche del potere economico-mafioso.
Oggi, a quasi quarant’anni dalla scomparsa del giornalista catanese, l’Associazione Antimafie “Rita Atria” e la testata LeSiciliane si schierano dalla parte della giornalista del TG1 Giovanna Cucè, autrice del reportage Rita Atria, la settima vittima, trasmesso nell’ambito di uno Speciale TG1 e poi disponibile su RaiPlay, fino a quando non è stato “oscurato” in via cautelativa a seguito di alcune diffide e richieste di risarcimento danni, avanzate per aver mostrato delle immagini risalenti al 1991/92. Tali frammenti, riprodotti con tutte le cautele, si inserivano in una narrazione funzionale a ricostruire il complesso contesto mafioso partannese dell’epoca, riguardo al quale sussiste un interesse pubblico, concreto e attuale in consonanza con quanto denunciato anche nel libro-inchiesta Io sono Rita. Rita Atria: la settimana vittima di Via D’Amelio, di cui è autrice la stessa Giovanna Cucè, insieme a Nadia Furnari, Vice Presidente dell’Associazione Antimafie “Rita Atria”, e Graziella Proto, Direttora de LeSiciliane ed esponente del giornalismo etico e antimafioso dai tempi e ne I Siciliani di Pippo Fava. Nel libro-inchiesta si fa emergere, anche con documenti inediti, quello che in trent’anni non è mai stato cercato, chiesto, investigato e scritto sulla storia scomoda della giovane testimone di giustizia Rita Atria, che a 17 anni si è ribellata al potere politico-mafioso, raccontando tutto ciò di cui era a conoscenza e fornendo un contributo rilevante al lavoro del giudice Paolo Borsellino. Rita Atria, che fu abbandonata dalle Istituzioni che avrebbero dovuto prendersi cura di lei, lasciandola, invece, in balia di un vuoto che colpevolmente avvolge la fine di questa giovanissima donna ribelle, indirettamente la settima vittima del massacro di Via D'Amelio.
Come nel libro, anche nel reportage si ripercorrono i passaggi e gli sviluppi dell’organizzazione mafiosa funzionali ad aprire un varco nella “nebbia” che poi ha portato alla morte di Rita Atria, si scava e si ricostruiscono nel dettaglio gli elementi contraddittori, le incongruenze, le tracce mancanti, i riscontri mancati, sostanzialmente i tanti interrogativi senza risposta che ancora restano dopo la sua morte.
Entrambi i lavori sono ispirati alla ricerca della verità e a rendere giustizia a Rita Atria, e sono confluiti nella richiesta di riapertura delle indagini, avanzata dalla stessa Associazione Antimafie “Rita Atria”.
In tale ottica, il reportage di Giovanna Cucè, serio e meticoloso, nella puntuale narrazione delle vicende dell’epoca, mostra attraverso le immagini un contesto mafioso complesso, con personaggi di spicco, come Matteo Messina Denaro, e le varie connessioni politiche di quegli anni, devastati dalle stragi. Un lavoro che, senza se e senza ma, non vuole far cadere nell’oblio la storia del coraggio ribelle di Rita, una storia che merita di essere raccontata, scandagliando il passato per comprendere il presente, una storia che rischia, invece, di essere “oscurata” da cause civili che possono affossare questo diritto a fare luce e quindi ad avere giustizia.
L’Associazione antimafie “Rita Atria” e la rivista LeSiciliane sono al fianco di Giovanna Cucè e di tutti quei giornalisti che ogni giorno aprono uno squarcio nel silenzio colpevole di molti, al fianco di tutti coloro che esercitano il mestiere di informare in modo coraggioso per amore di verità.
Chiediamo, inoltre, alla RAI di rispondere a questi attacchi ripubblicando su RaiPlay il documentario e di riprogrammare una replica dello stesso con tutte le cautele del caso non solo perché si tratta di un reportage di rara professionalità e soprattutto uno strumento con un elevato contenuto didattico, ma anche perché dovrebbe essere un dovere, per una televisione pubblica, non fare cadere la vicenda della giovane Rita Atria nel pozzo dell’oblio.
Manifestiamo altresì la nostra preoccupazione per un rischio ancor più ampio, quello di disperdere tutto il lavoro per recuperare documenti, frammenti, testimonianze, per non far “sbiadire” tante altre storie, spesso ancora senza giustizia. Storie che, rimettendo pazientemente insieme i pezzi del passato e inserendoli in un quadro coerente, ci disvelano i meccanismi sottesi ai fenomeni del nostro presente, per non far morire nuovamente tutti coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare, per non farli annegare, scomparire ancora, e noi insieme a loro, nella distruzione della memoria.