Condono fiscale, Ardita: ”Reati da colletti bianchi non meno pericolosi di altri”
Il consigliere togato: "Detenuti per corruzione ed evasione fiscale si contavano sulle dita di una mano"
È vero che, come ha detto Meloni, “la norma sul condono penale non c’è in manovra", tuttavia è stato proprio il governo a volerlo inserire con emendamento compreso di scudo per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione, cioè l’evasione totale, quella che, ha spiegato il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita sul 'Fatto'"colpisce soprattutto i cittadini onesti. Solo lo 0,3% dei detenuti in Italia hanno commesso crimini da 'colletti bianchi', reati non meno pericolosi degli altri”. "Il nostro sistema penale si è trasformato in un sistema di punizione con finalità solo preventive. In altri termini, se non c’è la prova che il condannato rappresenta un pericolo fisico per gli altri non si va in carcere. L’ultimo baluardo a cadere è stato l’ergastolo anche per gli autori degli omicidi di mafia e i potenziamenti anche per gli stragisti. Mentre gli assassini di Moro e delle altre vittime del terrorismo sono liberi da tempo e alcuni danno lezioni dalle cattedre", ha detto Ardita.
Il colpo di spugna sul condono fiscale è arrivato giovedì con l'approvazione al Senato della Legge di bilancio 2023 dopo aver rinnovato la fiducia al Governo sull'approvazione dell'art.1, nel testo licenziato dalla Camera, con 109 voti favorevoli, 76 contrari e un'astensione.
Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di fine anno, ha detto che le uniche "cartelle stralciate sono quelle vecchie più di 7 anni e sotto i 1.000 euro perché allo Stato conviene di più la loro distruzione. Non vogliamo favorire l’evasione”.
La sanatoria, tuttavia, secondo le stime tecniche, vale un buco di 160 milioni nel 2023 e 600 milioni in dieci anni (1,7 miliardi considerando tutti i condoni fiscali).
I reati di natura fiscale sono tipici dei cosiddetti 'colletti bianchi' che, ha spiegato il magistrato, riescono ad "evitare il carcere attraverso una serie di strumenti – da un lato la liberazione anticipata e dall’altro la concessione delle misure alternative – che presupporrebbero la prova della non pericolosità o addirittura un percorso di rieducazione. Ma in realtà non solo la pericolosità viene concepita come possibilità di reiterazione di crimini violenti (e quindi un evasore difficilmente viene considerato socialmente pericoloso da dover rimanere in carcere), ma lo stesso sistema di controlli delle misure diverse dal carcere è fortemente carente per l’assenza di un corpo di polizia che possa sorvegliare con rigore la messa alla prova del condannato rimesso in libertà".
"Quando qualche anno fa dirigevo l’ufficio detenuti del ministero della Giustizia - ha detto il magistrato sempre sul 'il Fatto Quotidiano' - rimasi colpito dal fatto che solo lo 0,3 % dei detenuti in attesa di giudizio poteva annoverarsi tra i cosiddetti 'colletti bianchi'. La stragrande maggioranza era costituita da spacciatori, rapinatori e autori di crimini da strada, oltre che naturalmente da mafiosi. Su poco meno di 20 mila detenuti in attesa di giudizio solo una trentina rispondevano di bancarotta e altrettanti di peculato, mentre per corruzione ed evasione fiscale si contavano sulle dita di una mano. Non credo che in questi anni le cose siano cambiate molto. Questa tendenza fa sì che i crimini dei ricchi siano considerati meno gravi di quelli dei disperati".
Secondo il magistrato queste sottrazioni di risorse provocano un notevole disagio sociale, tuttavia il condono appena approvato reitera un messaggio culturale tanto inopportuno quanto dannoso poiché rafforza l'idea che "è già consolidata in coloro che commettono questi reati: ossia che dietro gli schermi delle società finisce per realizzarsi una completa impunità. La repressione penale, di fatto, colpendo gli autori delle evasioni fiscali e delle bancarotte – realizzate spesso da compagini societarie che vengono svuotate e fatte fallire – rappresenta l’ultima possibilità di repressione. A essere colpito da queste condotte non è solo l’Erario, ma tutti gli onesti cittadini che pagano le tasse e subiscono gli effetti di questi reati sul proprio carico fiscale" ha detto.
L'evasione ha un "impatto che, per assurdo, finisce per rallentare l’economia sana e drogare quella fondata sull’illecito e spiccatamente criminale. Gli effetti di redistribuzione dei carichi fiscali costringono le aziende sane che pagano le tasse a cedere il passo a quelle gestite da evasori e bancarottieri o con finalità di riciclaggio".
Ardita ha concluso dicendo che "manca una capacità di intervento immediato sul piano amministrativo, una maggiore equità fiscale, e un incentivo per quanti da sempre pagano con regolarità le tasse. La politica fiscale non può essere affidata a slogan. Ci vuole una via di mezzo tra chi ha affermato che ‘pagare le tasse è bello’ e chi ritiene che significhi ‘mettere le mani nelle tasche degli italiani’. Ma questa seconda affermazione è anche miope e diseducativa”.