Il processo sulla mafia dei Pascoli: Seicento anni di carcere e oltre 4 milioni di confische
Di Nuccio Anselmo – Seicento anni di carcere e oltre 4 milioni di confische. Un colpo pesantissimo alla “mafia dei pascoli” lo infliggono il 31 ottobre del 2022 i giudici del Tribunale di Patti, con 91 condanne e 10 assoluzioni. È una sentenza storica, che arriva dopo un procedimento chiuso in tempi record per la giustizia italiana. Il maxiprocesso Nebrodi sulle truffe agricole della mafia tortoriciana ha avuto origine nel marzo del 2021. È il presidente della sezione penale del Tribunale di Patti Ugo Scavuzzo, con accanto i colleghi Andrea La Spada ed Eleonora Vona, a leggere per oltre un’ora la lunghissima sentenza per i 101 imputati.
Arriva una sostanziale conferma dell’impianto accusatorio e delle richieste formulate nel luglio precedente dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio, con i sostituti della Dda di Messina Fabrizio Monaco, Francesco Massara e Antonio Carchietti, e il collega della Procura ordinaria Alessandro Lo Gerfo.
I giudici riconoscono l’associazione mafiosa solo al gruppo storico dei Batanesi, mentre per quanto riguarda i Bontempo Scavo e gli altri “aggregati”, i Faranda-Crascì, tutto è riqualificato in associazione a delinquere semplice. Ad ottobre del 2022 arriva quindi il sigillo di primo grado per un’inchiesta sfociata nel gennaio del 2020 in una lunga sequela di arresti e confische dopo anni di indagini dei carabinieri del Ros e della Guardia di Finanza, coordinate dall’allora capo della Procura di Messina Maurizio de Lucia.
Viene disvelato un sistema ben oleato di truffe agricole sui terreni dei Nebrodi e della Sicilia orientale, dal 2010 al 2017, con accaparramento di fondi dall’Unione Europea per oltre 10 milioni e mezzo di euro. Una svolta possibile grazie al Protocollo Antoci divenuto legge dello Stato: un baluardo fondamentale per eliminare alla radice le truffe.
Il blitz del 2020 di carabinieri e Guardia di Finanza è scattato nel gennaio 2020 con 94 arresti, 48 in carcere e 46 ai domiciliari, e il sequestro preventivo di 151 aziende agricole. Il Ros ha ricostruito il nuovo assetto del clan dei Batanesi, la Finanza si è concentrata sulla costola del clan Bontempo Scavo e i Faranda-Crascì.
A vario titolo l’accusa contestava associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio, uso di sigilli e strumenti contraffatti, falso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata. È emersa un’associazione mafiosa invasiva, capace di rapportarsi, nel corso di riunioni tra affiliati, con organizzazioni mafiose di Catania, Enna e col mandamento delle Madonie di Cosa nostra palermitana. Le pene più alte inflitte ad Aurelio Salvatore Faranda (30 anni), Sebastiano Bontempo “Il biondino” (25 anni e 7 mesi), Sebastiano Conti Mica “Il belloccio” (23 anni e 6 mesi), Vincenzo Galati Giordano “Lupin” (21 anni e 8 mesi), Domenico Coci (17 anni e 6 mesi) e Calogero Barbagiovanni (15 anni e 6 mesi).
C’erano alla sbarra in questo procedimento 101 imputati che dovevano rispondere di 493 capi d’imputazione. Non solo boss mafiosi tortoriciani e gregari, ma anche fiancheggiatori e “colletti bianchi”, gestori dei centri agricoli, commercialisti, geometri. I testi dell’accusa sentiti erano inizialmente 310, e circa 400 quelli citati dai difensori, molti erano in comune, il numero si è progressivamente ridotto andando avanti con parecchi di loro. Oltre 100 le udienze celebrate da marzo del 2021. Carmelo Gulino è stato l’unico imprenditore privato parte civile al processo. La sua costituzione riguarda in particolare le posizioni di Sebastiano Bontempo “biondino”, Giuseppe Costanzo Zammataro, Mario Gulino, Calogero Barbagiovanni e Sebastiano Destro Mignino. A giugno 2021 ha testimoniato per oltre due ore all’aula bunker del carcere di Gazzi il coraggioso imprenditore di Montalbano Elicona, che ha presentato una serie di denunce negli anni passati su danneggiamenti e furti ai danni dell’impresa di famiglia, oltreché tentativi di estorsione, tutte finite negli atti dell’inchiesta.
E alla prima udienza tra i presenti in aula, così come alla lettura della sentenza, tra politici e associazioni, c’era anche l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, che con la sua azione scoperchiò il sistema-truffe agricole sui Nebrodi e subì il gravissimo attentato alla sua vita nel maggio del 2016. A testimoniare anche fisicamente la loro vicinanza ad Antoci in apertura del “maxi” c’erano quel giorno all’aula bunker i parlamentari Piera Aiello, Mario Giarrusso e Nello Dipasquale, i primi due all’epoca componenti della Commissione nazionale antimafia e il terzo membro di quella regionale siciliana. Numerosi messaggi arrivarono poi da altri parlamentari. I commissari del M5S della Commissione nazionale antimafia diffusero una nota in cui raccomandavano di «tenere alta l’attenzione su un processo fondamentale».