ECCO TUTTE LE RICHIESTE DELL’ACCUSA: Maxiprocesso alla mafia dei Nebrodi, i pm di Messina chiedono 1.045 anni di carcere per le truffe agricole all’Ue
Nell’aula bunker di Gazzi, a Messina, la richiesta complessiva della procura contro gli imputati del «maxiprocesso Nebrodi» è da record: 1.045 anni di carcere. In pratica, una media di oltre 10 anni e due mesi di carcere per i 102 imputati. Senza considerare multe e confische per un valore di circa 30 milione di euro. Se dovesse essere confermato l’impianto accusatorio del più grande processo mai celebrato in Europa in tema di truffe ai fondi pubblici erogati all’agricoltura, sia italiani sia Ue, significherebbe che la media delle condanne supererebbe i 10 anni e due mesi. Giusto per fare un paragone, se si prende in considerazione lo «storico» «maxiprocesso di Palermo» allora i 460 imputati ricevettero 2.665 anni di carcere: 5 anni e otto mesi a testa in media.
Tutte le richieste dell'accusa
ARCODIA Laura (32 anni di Maniace): 3 anni e un mese di reclusione
ARMELI Sebastiano (55, Tortorici): 10 anni e 4 mesi
ARMELI Giuseppe (39): 12 anni
ARMELI MOCCIA Giuseppe (38): 11 anni e 10 mesi
ARMELI MOCCIA Rita, (46): 14 anni e 10 mesi
ARMELI MOCCIA Salvatore (40): 4 anni e 7 mesi
BARBAGIOVANNI Calogero (29) 14 anni e 2 mesi di reclusione
BONTEMPO Alessio (34): 2 anni
BONTEMPO Gino (54) 15 anni e mezzo
BONTEMPO Giovanni (Adrano, 38): 2 anni
BONTEMPO Giuseppe (31) 2 anni e 4 mesi
BONTEMPO Lucrezia (36): 2 anni e 2 mesi
BONTEMPO Salvatore (Biancavilla, 44): 14 anni e 4 mesi
BONTEMPO Sebastiano “u biondino”: 30 anni, in continuazione con le precedenti condanne BONTEMPO SCAVO Sebastiano: 3 anni
CALA’ CAMPANA Sebastiana (67): 2 anni e 2 mesi
CALA’ LESINA Salvatore “moccia” (50): 18 anni
CALABRESE Maria Chiara, (29, Capizzi): 5
CALCO’ LABRUZZO Gino (63): 15 anni di reclusione
CALI’ Antonino (Leonforte, 27) 3 anni e 3 mesi
CAPUTO Andrea (54) 8 anni e 4 mesi
CAPUTO Antonio (Cesarò, 55: 12 anni e 7 mesi di reclusione
CARCIONE Arturo (Rocca di Caprileone, 68): assoluzione parziale, 5 anni.
CARCIONE Giuseppe (Messina): 4 anni e mezzo
COCI Jessica (Centuripe, 31): 5
COCI Carolina (28) 11 anni e un mese
COCI Domenico (30), 15 anni di reclusione
COCI Rosaria (66), 12 anni e 2 mesi
COCI Sebastiano (61) 13 anni e 2 mesi
CONTI MICA Denise (31): 2 anni di reclusione
CONTI MICA Sebastiano “U belloccio” (52): 30 anni, in continuazione
CONTI PASQUARELLO Giusi (39) 3 anni e 7 mesi
CONTI TAGUALI Ivan: assoluzione parziale, 14anni
COSTANTINI Massimo (Sondrio, 65): 8 anni e 2 mesi
COSTANZO ZAMMATARO Antonina (57): 3 anni e 9 mesi
COSTANZO ZAMMATARO Claudia (34): 2 anni
COSTANZO ZAMMATARO Giuseppe (72): 2 anni e 2 mesi
COSTANZO ZAMMATARO Giuseppe “u carretta” (40, Biancavilla): 20
COSTANZO ZAMMATARO Giuseppe “rummuluni” (37, Biancavilla): 13 anni
COSTANZO ZAMMATARO Loretta (47): 2 anni e 4 mesi
COSTANZO ZAMMATARO Romina (42): 2 anni
COSTANZO ZAMMATARO Valentina (37): 3 anni
CRASCI’ Barbara (39): 3 anni e 9 mesi
CRASCI’ Katia (43, Rocca di Caprileone): 10 anni e 8 mesi
CRASCI’ Lucio Attilio Rosario (classe ’58) 13 anni e 9 mesi
CRASCI’ Salvatore Antonino (classe ’53): 3 anni e 4 mesi
CRASCI’ Sebastiano (42): 13 anni e 2 mesi
CRAXI’ Sebastiano (46): 20 anni e 7 mesi
CRIMI Sara Maria (60): 2 anni di reclusione
DELL’ALBANI Salvatore (30, Caltagirone): 5 anni e 3 mesi
DESTRO MIGNINO Santo (classe ’88, Sant’Agata Militello): 13 anni di reclusione
DESTRO MIGNINO Sebastiano (62): assoluzione parziale, 11 anni
DI BELLA Pietro (39, Enna): 2 anni di reclusione
DI MARCO Marinella (47, San Teodoro): 12 anni
DI STEFANO Maurizio (31, Caltagirone): 3 anni e 2 mesi
FARANDA Antonino (classe ’41): 14 anni e 2 mesi
FARANDA Aurelio Salvatore (50, Caltagirone): assoluzione parziale, 30 anni
FARANDA Davide (39): 12 anni
FARANDA Emanuele Antonino (43): 13 anni e mesi 8 di reclusione
FARANDA Gaetano (52): 18 anni e 8 mesi di reclusione
FARANDA Gianluca (39): anni 13 di reclusione
FARANDA Massimo Giuseppe (49): 24 anni e 9 mesi di reclusione
FARANDA Rosa Maria (28) 11 anni e 10 mesi
FERRERA Giuseppe (39, Caltagirone): 10 anni e mezzo
FLORIDIA Innocenzo (43, Caltagirone): anni 10 di reclusione
FOTI Valentina (28, Acquedolci) 2 anni
GALATI GIORDANO Vincenzo (classe ’58): 4 anni e euro 30 mila di multa
GALATI GIORDANO Vincenzo “lupin” (53): 30 anni, in continuazione
GALATI MASSARO Santo (31, Centuripe): 2 anni e 10 mesi
GALATI PRICCHIA Daniele (21): 2 anni e 3 mesi
GALATI SARDO Emanuele (40): 12 anni e 9 mesi
GLIOZZO Giuseppina (31, Cesarò), assoluzione parziale, 5 anni
GULINO Mario (53, S. Piero Patti): 6 anni
HILA Alfred (31, Torrenova): – 10 anni di reclusione
LINARES Roberta (39, Augusta) 5 anni e 3 mesi
LOMBARDO FACCIALE Pietro (classe ’55): 11 anni e 9 mesi
LUPICA SPAGNOLO Francesca, (’64): 10 anni e 7 mesi
LUPICA SPAGNOLO Rosa Maria (60): 11 anni
MANCUSO CATARINELLA Jessica (31, Capizzi) 2 anni
MANCUSO Cristoforo Fabio (59, Acicastello): 5 anni e 3 mesi
MARINO Agostino Antonino (60): 16 anni di reclusione
MARINO Rosario (30): 14 anni di reclusione
MILITELLO Alessandro Giuseppe (49, Troina): 2 anni
NATOLI Giuseppe (classe ’66, Tusa): 12 anni e 7 mesi
PATERNITI BARBINO Antonino Angelo (70): 9 anni e 2 mesi
PIRRIATORE Massimo (44, Maniace): – 5 anni di reclusione ed euro 2.000,00.- di multa
PRUITI Elena (40): 12 anni di reclusione
PROTOPAPA Francesco (30): 15 anni di reclusione
REALE Angelamaria (38, Messina): 2 anni
RIZZO SCACCIA Danilo (40, Maniace): 5 anni di reclusione ed euro 2 mila di multa
SCINARDO TENGHI Giuseppe (38, Capizzi) 12 anni e mezzo
SCINARDO Giuseppina (49, Capizzi: 3 anni e 3 mesi
SCINARDO TENGHI Elisabetta (45, Capizzi): 1 anno e 8 mesi
SPASARO Angelica Giusy (26): 10 anni e 6 mesi
SPASARO Giuseppe Natale (classe ’55, Galati Mamertino): 10 anni e 4 mesi
STRANGIO Antonia (38, Capo d’Orlando): 11 anni e mesi 7 di reclusione
TALAMO Mirko (35): 2 anni e 8 mesi di reclusione
TERRANOVA Salvatore (classe ’93, Nicolosi): 10 anni di reclusione
VECCHIO Giovanni (classe ’58, San Giovanni La Punta): 10 anni e 3 mesi
ZINGALES Carmelin (classe ’74, Capri Leone) 10 anni di reclusione
Il blitz
All’alba del 15 gennaio del 2020 i carabinieri del Ros e i finanzieri del Gico — coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina, guidata da Maurizio de Lucia — condussero un grande blitz che si concluse con 94 arresti (48 furono ristretti in carcere e 46 ai domiciliari) a vario titolo associazione per associazione a delinquere di stampo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio, uso di sigilli e strumenti contraffatti, falso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata. Inoltre furono sequestrate 151 aziende. Per le accuse, c’era un fiume di denaro su cui scorrevano gli interessi dei clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici. Un operoso centro messinese a vocazione agricola, popolato da migliaia di onesti lavoratori, aggrappato sui Monti Nebrodi. Come si legge nelle carte dell’ordinanza del Gup di Messina: «la mafia ha scoperto che soldi pubblici e finanziamenti costituiscono l’odierno tesoro e come siano diminuiti i rischi pur se i metodi restano criminali…..» e che «il campo di maggiore operatività è divenuto il grande business derivante dalle truffe ai danni dell’Unione Europea, come detto più remunerative e meno rischiose». Un meccanismo interrotto da un coraggioso presidente dell’allora Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, che fu il primo a tagliare l’erba sotto i piedi della mafia. Ideò un “protocollo di legalità” che poi prese il suo nome e che, nel 2015, entrò nel codice Antimafia. Qualche mese dopo, il 18 maggio del 2016, fu vittima di un attentato mafioso. Per i magistrati di questo maxiprocesso «nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato... Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia». Tornando al dibattimento odierno, in poco più di un anno, si è arrivati già alla richiesta della Procura che, nel frattempo, ha sollecitato l’esame di 307 testimoni, mentre le difese degli imputati hanno chiesto di sentire oltre 400. Senza considerare che sono state riconosciute come parti lese civili associazioni «antimafia» come Libera e Addiopizzo Messina; il Centro studi «Pio La Torre» e il Comune di Tortorici.
Le prime condanne
Nel corso del tempo, il banco degli imputati è diminuito di 18 posizioni perché il Gup di Messina per alcuni aveva inviato gli atti a Catania per incompetenza territoriale mentre altri quattro hanno già patteggiato la pena e, con il rito abbreviato, sono arrivate in Appello, lo scorso aprile, tre assoluzioni e cinque condanne con pene che hanno raggiunto anche i 24 anni per Sebastiano Bontempo. Gli inquirenti, hanno ricostruito da un lato il nuovo assetto del clan dei Batanesi, operante nel Tortoriciano; dall’altro si sono invece concentrate su quello dei Bontempo Scavo. Secondo l’accusa, le cosche di quest’area aveva guadagnato una caratura criminale tale da poter «dialogare» con quelle del Catanese, dell’Ennese e del Palermitano. Come disse il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho questa mafia ha compiuto «un salto di qualità anche a livello nazionale, con inserimenti nell’economia legale con sistemi illegali. Chi doveva controllare non controllava, chi doveva sostenere la formazione del fascicolo aziendale per ottenere i finanziamenti era complice dei clan che si arricchivano». I due clan oggetto dell’inchiesta «Nebrodi» per finanziarsi, utilizzavano anche il lucroso metodo di ottenere contributi comunitari concessi dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) che aveva portato nelle casse delle cosche circa 10 milioni di euro, a partire dal 2013. Milioni di euro sottratti agli onesti agricoltori e allevatori dei Nebrodi che sono la maggioranza e da secoli fertilizzano quei terreni con ettolitri di sudore. Cittadini che si trovano dal 23 dicembre del 2020 devono affrontare l’onta di vedere il proprio Comune commissariato per infiltrazioni mafiose. Nell’inchiesta non sono finiti solo presunti associati ai clan ma anche «colletti bianchi» fra cui ex collaboratori dell’Agea e persone dei centri di assistenza agricola che avevano conoscenza ottima dei meccanismi con cui vengono erogati milioni e milioni di euro e dei metodi di controllo.
Il «protocollo Antoci»
Un sistema che si «inceppò» a causa dell’intuizione dell’allora presidente del Parco dei Nebrodi e che fu fortemente voluto anche dall’allora prefetto di Messina, Stefano Trotta. «Il protocollo Antoci è importante — ricordò in conferenza stampa il giorno del blitz, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho — perché per primo permise di scoprire questo tipo di attività e poi diventato uno strumento fondamentale di contrasto alle mafie». Dal giorno dopo l’attentato — sventato solo grazie alla prontezza con cui rispose al fuoco dei poliziotti Daniele Manganaro e Tiziano Granata — la vita di Antoci è una delle più blindate in Italia. «Mi hanno tolto tutto, libertà, serenità, mi hanno costretto ad una vita complicata costringendo la mia famiglia a vivere in una casa blindata e presidiata dall’Esercito — spiega Antoci — Due cose però non sono riusciti a togliermi con quell’attentato mafioso: la vita e la dignità e grazie a quest’ultima che attenderò la sentenza per poterli guardare negli occhi e poter dire loro: abbiamo vinto noi, voi avete perso. perché oggi lo Stato anche con questo processo dimostra che quando si muove unitariamente, quando fornisce mezzi normativi alle forze di polizia e alla magistratura per combattere le mafie, arrivano anche i risultati importanti come le condanne in media quasi doppie rispetto allo “storico” maxiprocesso di Palermo».
L’esempio
Quel processo che segnò una linea di demarcazione nella storia giudiziaria della lotta alle mafie di questo Paese. «Ci fu un prima e un dopo quel capolavoro giuridico a cui dette un contributo decisivo quel santo civile di Giovanni Falcone — ricorda Antoci che oggi è presidente onorario della Fondazione intitolata a Nino Caponnetto, papà del pool Antimafia palermitano — e anche in questa parte di Sicilia prima del mio “protocollo” per tanti anni nessuno si azzardava a interrompere il meccanismo delle frodi e chi come me c’ha provato ha rischiato la vita. Queste durissime richieste seguono già un primo giudizio celebratosi al rito abbreviato con condanne elevatissime e ringrazio tutti i magistrati di Messina che non si non si sono risparmiati lavorando alacremente tutti i giorni. Un vero esempio di efficienza della tanto vituperata giustizia italiana che con un’azione senza precedenti contro una mafia dei terreni ricca, potente e violenta». Fonte: corriere.it